Emozione nella pubblicità: leva all’acquisto o benefit stesso?

In questo articolo:

Non so se ci avete fatto caso ma ci ritroviamo sempre più spesso con questa grande discussione: pubblicità emozionale, pubblicità razionale… con ragionamenti che diventano a volte un po’ contorti. L’emozione è la spinta all’acquisto? L’emozione è ciò che si vende? Entrambi? Proviamo a fare chiarezza.

Pubblicità emozionale-esperienziale: quando le sensazioni diventano i benefits

Bernd. H. Schmitt, professore della Columbia University, nel suo libro Experiential marketing: How to get customers to sense, feel, think, act and relate to your company and brands, spiega la distinzione tra marketing tradizionale e il marketing emozionale.

Il primo, con un approccio più razionale, pone il suo focus sul potere d’acquisto dei consumatori e sulle caratteristiche più o meno soddisfacenti del prodotto e relativi benefits; il secondo, considera i clienti come esseri umani desiderosi di essere coinvolti emotivamente.

L’osservazione è molto accurata e intelligente e quel “desiderio di essere coinvolto emotivamente” è ciò a cui dobbiamo puntare per far giungere la nostra comunicazione, il nostro “contenuto”, il nostro messaggio di vendita.

Ok, dobbiamo vendere un’auto, consuma poco, costa poco, non si guasta mai ecc. ecc. Tutto molto razionale ma succede che le persone non la comprano, perché? Perché il messaggio non arriva senza il giusto tono emozionale che lo accompagna.

Il problema è questo: il nostro messaggio è supportato da un’emozione capace di coinvolgere il cliente? Lo renderà maggiormente interessato facilitando l’acquisto o lo lascerà nell’indifferenza?

Se esiste una pubblicità che si può classificare esclusivamente emozionale essa è perciò quella che fa rientrare nei benefit del prodotto le sensazioni stesse, come può esserlo una serata in discoteca, un liquore, un profumo, un viaggio poiché, in realtà, TUTTA la pubblicità dovrebbe far perno sull’emozione.

Il ruolo dell’emozione nel processo razionale di acquisto

Ogni nostro approccio a un prodotto è accompagnato dall’emozione. Anche l’indifferenza è un’emozione ma è quella che meno ci serve.

Se volessi fare una campagna contro la guerra, l’emozione più giusta sarebbe quella del disprezzo. Quindi non deve per forza essere positiva ma, sicuramente, deve essere allineata all’obiettivo.

In tali casi, come nella maggioranza, l’emozione non coincide col benefit ma è uno strumento per trasmetterlo, una sorta di “onda portante” e di punto di ingresso.

In una scala graduale, si inizia da un rifiuto totale, per passare all’essere disposti a saperne qualcosa di più, fino a un forte interesse per il prodotto. Tu chiamale…se vuoi… emozioni.

In una pubblicità razionale si cerca di “illuminare” le persone riguardo i benefici del prodotto/servizio in modo molto razionale e portare le persone al livello emozionale adeguato all’acquisto (interesse).

Questo è quello che cerca di fare la maggioranza della pubblicità.

La strada più efficace è però opposta: colpire con l’emozione per abbattere le difese dell cliente e poi argomentare razionalmente.

Non identifica le emozioni col benefit anche se sicuramente ne sa fare un ottimo utilizzo. “Non trattare il tuo cane come una pattumiera” cita la headline (piccola in basso a dx) mentre il visual è un cane che diventa pattumiera. Tratteresti così qualcuno che ami e qualcuno che ti ama? Ci fa sentiere dei “vermi” (emozione) per passare il messaggio razionale della semplice confezione del cibo per cani.

Da “big snow” alla “macchina della creatività”. Bugie o leve emozionali?

L’immagine punta semplicemente sull’essenza estetica e lo slogan “la macchina della creatività” è come il “Big snow” degli annunci meteorologici: sappiamo che non è così ma… l’enfasi smuove le nostre emozioni. Esaltazione ed estasi estetica (emozioni) lasciano trasparire l’essenza del genio e dell’emozione umana.

Il giornalista è un venditore di notizie e non va inteso con disprezzo. Se deve vendere la notizia che domani, forse cadranno 2/3 cm di neve, vi dirà che è in arrivo “big snow”.

Big snow è molto più emozionale, richiama una qualche interessante sciagura che ci tiene incollati al giornale mentre sorseggiamo il caffè al bar.

I bollettini meteo che trovi sul web, sono molto più veritieri ma, è il caso di dirlo, un po’… freddini. Non fanno perno sulle nostre emozioni come la paura in questo caso.

Sono più adatti a chi veramente cerca informazioni per motivi di viaggio o “tecnici” e vuole dati certi senza inutili fronzoli.

Il giornalista, che si rivolge al lettore “comune”, sa che se vuole parlare della neve deve innanzitutto rivolgersi alle persone e alle loro paure (sensazioni).

Per comunicare dobbiamo – dobbiamo – aggiungere un po’ di sentimento. La gente fatica a leggere un bollettino scientifico anche se scritto in modo semplice e anche se contenesse l’informazione che può salvare loro la vita.

Persino gli scienziati stessi apprezzerebbero un po’ più di emozione nei testi che studiano.

L’uomo non è una macchina. L’uomo vive di emozioni e per le emozioni. Si dice che la salute venga al primo posto, il che è il massimo della razionalità. Eppure, stranamente, la gente fa un sacco di cose pericolose: fuma, guida veloce, mangia male ecc.

Quindi, capite, l’emozione ci aiuta a far passare un’informazione come se essa avesse bisogno del giusto tono emozionale per giungere al pubblico, una sorta di “onda portante”.

È questo il suo scopo etico. Un utilizzo non etico sarebbe quello di fare passare come vera una notizia inutile o, addirittura, falsa, come spesso accade.

Nel settore pubblicitario, dobbiamo preoccuparci di avere un buon prodotto che faccia quello che promette e poi, almeno secondo il mio umile parere, è lecito, oltre che necessario, usare tutta l’emozione che si vuole.

Pubblici, circostanze, prodotti, emozioni

In apparenza esistono prodotti che vendono quasi esclusivamente emozioni, come un profumo per esempio. In tali casi è un obbligo puntare sul fattore emozionale.

Per molti altri prodotti, le due componenti si sostengono a vicenda, come per esempio in un capo di vestiario che deve piacere (emozione) ma deve anche tenere caldo (razionalità). Oppure negli esempi Volkswagen e Fedex citati in basso.

La scelta di una pubblicità più o meno emozionale ricade quindi sul tipo di benefici che il prodotto è capace di offrire. Ma anche prodotti molto concreti si avvantaggiano di una spinta emozionale, come già accennato.

Nella vendita di automobili, per esempio, è molto utilizzata. Sta a noi trovare, ed esiste sempre, l’emozione che accompagna un certo tipo di acquisto.

Quindi, se prima becchiamo le emozioni e poi aiutiamo la persona a trovare dei motivi razionali, il gioco è fatto. Emozione e razionalità non giocano uno contro l’altro e non sono nemmeno due categorie di pubblicità diverse ma lavorano assieme.

Provoca stupore e sentimenti contrastanti. Think small – pensa in piccolo – contrasta col fatto che si sa che invece si dovrebbe pensare in grande. Lemon, che significa in americano anche “trabiccolo” o “fregatura”, è una headline all’incontrario, altro che vantaggi.

Inizia tutto dal cuore ma… dove continua?

Usare le emozioni non è stupire la gente con un messaggio insolito. È fare perno direttamente su sentimenti quali odio, amore, orgoglio, rispetto, codardia, coraggio, altruismo, passione, compassione, colpevolezza, perdono, estasi, entusiasmo, sicurezza, fiducia…

Si fa attraverso le immagini, si fa attraverso il testo o attraverso la musica. Si fa attraverso un’idea che pensiamo possa colpire l’immaginario del nostro pubblico. È la chiave per trasmettere il messaggio ma non è il messaggio stesso che è la parte “razionale”.

Così come si può cadere nell’errore di parlare solo di pregi e di vantaggi, all’estremo opposto si può cadere nell’errore contrario di puntare – solo – sulle emozioni, dimenticandosi del prodotto.

Le campagne di successo, anche quelle esclusivamente emozionali, sono comunque corredate di materiale pubblicitario e tecnico ed altre informazioni magari in pezzi separati che vanno a completare la comunicazione del brand o del prodotto specifico.

Lo spot di una compagnia telefonica completamente emozionale non funzionerebbe se le persone non sapessero a chi rivolgersi per cambiare gestore o se non trovassero da qualche parte un numero da contattare.

Perciò, se il nostro messaggio è esclusivamente emozionale, non bisogna dimenticarsi di integrarlo in una campagna più completa.

Non esiste mai una pubblicità solo emozionale, una pubblicità che “spara in giro emozioni” sperando che qualcuno acquisti un prodotto che mai abbiamo nominato.

Ma è dal nostro stato d’animo che tutto comincia.

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Emozione nella pubblicità: leva all’acquisto o benefit stesso?

Non so se ci avete fatto caso ma ci ritroviamo sempre più spesso con questa grande discussione: pubblicità emozionale, pubblicità razionale… con ragionamenti che diventano a volte un po’ contorti. L’emozione è la spinta all’acquisto? L’emozione è ciò che si vende? Entrambi? Proviamo a fare chiarezza.

Pubblicità emozionale-esperienziale: quando le sensazioni diventano i benefits

Bernd. H. Schmitt, professore della Columbia University, nel suo libro Experiential marketing: How to get customers to sense, feel, think, act and relate to your company and brands, spiega la distinzione tra marketing tradizionale e il marketing emozionale.

Il primo, con un approccio più razionale, pone il suo focus sul potere d’acquisto dei consumatori e sulle caratteristiche più o meno soddisfacenti del prodotto e relativi benefits; il secondo, considera i clienti come esseri umani desiderosi di essere coinvolti emotivamente.

L’osservazione è molto accurata e intelligente e quel “desiderio di essere coinvolto emotivamente” è ciò a cui dobbiamo puntare per far giungere la nostra comunicazione, il nostro “contenuto”, il nostro messaggio di vendita.

Ok, dobbiamo vendere un’auto, consuma poco, costa poco, non si guasta mai ecc. ecc. Tutto molto razionale ma succede che le persone non la comprano, perché? Perché il messaggio non arriva senza il giusto tono emozionale che lo accompagna.

Il problema è questo: il nostro messaggio è supportato da un’emozione capace di coinvolgere il cliente? Lo renderà maggiormente interessato facilitando l’acquisto o lo lascerà nell’indifferenza?

Se esiste una pubblicità che si può classificare esclusivamente emozionale essa è perciò quella che fa rientrare nei benefit del prodotto le sensazioni stesse, come può esserlo una serata in discoteca, un liquore, un profumo, un viaggio poiché, in realtà, TUTTA la pubblicità dovrebbe far perno sull’emozione.

Il ruolo dell’emozione nel processo razionale di acquisto

Ogni nostro approccio a un prodotto è accompagnato dall’emozione. Anche l’indifferenza è un’emozione ma è quella che meno ci serve.

Se volessi fare una campagna contro la guerra, l’emozione più giusta sarebbe quella del disprezzo. Quindi non deve per forza essere positiva ma, sicuramente, deve essere allineata all’obiettivo.

In tali casi, come nella maggioranza, l’emozione non coincide col benefit ma è uno strumento per trasmetterlo, una sorta di “onda portante” e di punto di ingresso.

In una scala graduale, si inizia da un rifiuto totale, per passare all’essere disposti a saperne qualcosa di più, fino a un forte interesse per il prodotto. Tu chiamale…se vuoi… emozioni.

In una pubblicità razionale si cerca di “illuminare” le persone riguardo i benefici del prodotto/servizio in modo molto razionale e portare le persone al livello emozionale adeguato all’acquisto (interesse).

Questo è quello che cerca di fare la maggioranza della pubblicità.

La strada più efficace è però opposta: colpire con l’emozione per abbattere le difese dell cliente e poi argomentare razionalmente.

Non identifica le emozioni col benefit anche se sicuramente ne sa fare un ottimo utilizzo. “Non trattare il tuo cane come una pattumiera” cita la headline (piccola in basso a dx) mentre il visual è un cane che diventa pattumiera. Tratteresti così qualcuno che ami e qualcuno che ti ama? Ci fa sentiere dei “vermi” (emozione) per passare il messaggio razionale della semplice confezione del cibo per cani.

Da “big snow” alla “macchina della creatività”. Bugie o leve emozionali?

L’immagine punta semplicemente sull’essenza estetica e lo slogan “la macchina della creatività” è come il “Big snow” degli annunci meteorologici: sappiamo che non è così ma… l’enfasi smuove le nostre emozioni. Esaltazione ed estasi estetica (emozioni) lasciano trasparire l’essenza del genio e dell’emozione umana.

Il giornalista è un venditore di notizie e non va inteso con disprezzo. Se deve vendere la notizia che domani, forse cadranno 2/3 cm di neve, vi dirà che è in arrivo “big snow”.

Big snow è molto più emozionale, richiama una qualche interessante sciagura che ci tiene incollati al giornale mentre sorseggiamo il caffè al bar.

I bollettini meteo che trovi sul web, sono molto più veritieri ma, è il caso di dirlo, un po’… freddini. Non fanno perno sulle nostre emozioni come la paura in questo caso.

Sono più adatti a chi veramente cerca informazioni per motivi di viaggio o “tecnici” e vuole dati certi senza inutili fronzoli.

Il giornalista, che si rivolge al lettore “comune”, sa che se vuole parlare della neve deve innanzitutto rivolgersi alle persone e alle loro paure (sensazioni).

Per comunicare dobbiamo – dobbiamo – aggiungere un po’ di sentimento. La gente fatica a leggere un bollettino scientifico anche se scritto in modo semplice e anche se contenesse l’informazione che può salvare loro la vita.

Persino gli scienziati stessi apprezzerebbero un po’ più di emozione nei testi che studiano.

L’uomo non è una macchina. L’uomo vive di emozioni e per le emozioni. Si dice che la salute venga al primo posto, il che è il massimo della razionalità. Eppure, stranamente, la gente fa un sacco di cose pericolose: fuma, guida veloce, mangia male ecc.

Quindi, capite, l’emozione ci aiuta a far passare un’informazione come se essa avesse bisogno del giusto tono emozionale per giungere al pubblico, una sorta di “onda portante”.

È questo il suo scopo etico. Un utilizzo non etico sarebbe quello di fare passare come vera una notizia inutile o, addirittura, falsa, come spesso accade.

Nel settore pubblicitario, dobbiamo preoccuparci di avere un buon prodotto che faccia quello che promette e poi, almeno secondo il mio umile parere, è lecito, oltre che necessario, usare tutta l’emozione che si vuole.

Pubblici, circostanze, prodotti, emozioni

In apparenza esistono prodotti che vendono quasi esclusivamente emozioni, come un profumo per esempio. In tali casi è un obbligo puntare sul fattore emozionale.

Per molti altri prodotti, le due componenti si sostengono a vicenda, come per esempio in un capo di vestiario che deve piacere (emozione) ma deve anche tenere caldo (razionalità). Oppure negli esempi Volkswagen e Fedex citati in basso.

La scelta di una pubblicità più o meno emozionale ricade quindi sul tipo di benefici che il prodotto è capace di offrire. Ma anche prodotti molto concreti si avvantaggiano di una spinta emozionale, come già accennato.

Nella vendita di automobili, per esempio, è molto utilizzata. Sta a noi trovare, ed esiste sempre, l’emozione che accompagna un certo tipo di acquisto.

Quindi, se prima becchiamo le emozioni e poi aiutiamo la persona a trovare dei motivi razionali, il gioco è fatto. Emozione e razionalità non giocano uno contro l’altro e non sono nemmeno due categorie di pubblicità diverse ma lavorano assieme.

Provoca stupore e sentimenti contrastanti. Think small – pensa in piccolo – contrasta col fatto che si sa che invece si dovrebbe pensare in grande. Lemon, che significa in americano anche “trabiccolo” o “fregatura”, è una headline all’incontrario, altro che vantaggi.

Inizia tutto dal cuore ma… dove continua?

Usare le emozioni non è stupire la gente con un messaggio insolito. È fare perno direttamente su sentimenti quali odio, amore, orgoglio, rispetto, codardia, coraggio, altruismo, passione, compassione, colpevolezza, perdono, estasi, entusiasmo, sicurezza, fiducia…

Si fa attraverso le immagini, si fa attraverso il testo o attraverso la musica. Si fa attraverso un’idea che pensiamo possa colpire l’immaginario del nostro pubblico. È la chiave per trasmettere il messaggio ma non è il messaggio stesso che è la parte “razionale”.

Così come si può cadere nell’errore di parlare solo di pregi e di vantaggi, all’estremo opposto si può cadere nell’errore contrario di puntare – solo – sulle emozioni, dimenticandosi del prodotto.

Le campagne di successo, anche quelle esclusivamente emozionali, sono comunque corredate di materiale pubblicitario e tecnico ed altre informazioni magari in pezzi separati che vanno a completare la comunicazione del brand o del prodotto specifico.

Lo spot di una compagnia telefonica completamente emozionale non funzionerebbe se le persone non sapessero a chi rivolgersi per cambiare gestore o se non trovassero da qualche parte un numero da contattare.

Perciò, se il nostro messaggio è esclusivamente emozionale, non bisogna dimenticarsi di integrarlo in una campagna più completa.

Non esiste mai una pubblicità solo emozionale, una pubblicità che “spara in giro emozioni” sperando che qualcuno acquisti un prodotto che mai abbiamo nominato.

Ma è dal nostro stato d’animo che tutto comincia.

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