Impaginazione professionale. I segreti dei professionisti

In questo articolo:

Esiste l’impaginazione ed esiste una specie un po’ diversa: l’impaginazione professionale. Un termine che ho dovuto coniare per l’enorme diffondersi di servizi di impaginazione imprecisi, superficiali, carenti di stile, ordine e chiarezza. In questo articolo andremo a definire habitat e comportamenti di questa “specie”

Impaginazione professionale rivista con semplice gabbia

Nei paragrafi che seguono, troverai anche una disamina delle migliori pratiche di impaginazione e composizione. Troverai esposti i maggiori ostacoli verso tale obiettivo e le strategie per superarli con disinvoltura.

Un articolo sunto di trent’anni di esperienza nel mondo della grafica editoriale, dedicato ad aspiranti “impaginatori”, editori, imprenditori o autori che cercano una “scena ideale”.

Impaginazione o composizione tipografica?

Un “puro” servizio di impaginazione si limiterebbe ad inserire testi e immagini secondo un progetto grafico già definito nei dettagli.

Non è affatto facile come sembra poiché proprio il dover rimanere fedeli a un preciso dettame impone di conoscere parecchi trucchi del mestiere.

Ad ogni modo, di fatto, tale termine viene usato come sinonimo di composizione tipografica, in modo quasi intercambiabile.

Nell’idea comune l’impaginazione arriva, in altre parole, a includere aspetti che, ad essere precisi e scolastici, appartengono alla composizione tipografica come: la scelta dei caratteri e loro varianti, l’allineamento dei paragrafi, gli stili, la disposizione dei titoli, delle citazioni, delle note ecc.

Quando il cliente mi chiede di impaginare un libro, nove volte su dieci mi intende un servizio che include la composizione tipografica. I contenuti di questo articolo vanno perciò intesi in questo significato ampliato e mi perdonino i “puristi”.

Impaginazione professionale: il segreto principale

Forse uno dei segreti fondamentali di tale “scena ideale”, dell’impaginazione o della composizione tipografica che dir si voglia, è la coerenza.

Potrà essere un impaginato molto articolato e complesso, come un catalogo ad esempio, ma se mantiene una stessa logica interna sarà comunque elegante e capace di comunicare in modo schietto e preciso.

L’integrazione di testi e immagini tale da dare ritmo e formare un tutt’uno organizzato e compatto potrebbe essere definito l’altro “segreto” principale, suo parente stretto.

Ma coerenza e integrazione non sono cose semplici da raggiungere e di solito celano molto bene strategie che solo anni di esperienza permettono di mettere in pratica e che qui proviamo a illustrare.

impaginazione prpofessionale profilo aziendale
Impaginazione profilo aziendale per Aurora Costruzioni. Graphic design studio Gislon
Esempio di impaginato

Impaginazione rivista Europa Uomo. Graphic design Carlo Gislon

Prima dell’impaginazione: il progetto grafico

Potremmo affermare che l’impaginazione professionale non esiste se manca a priori un progetto grafico. Molti problemi di impaginazione hanno origine nella mancanza di un buon design grafico.

Quando si presenta un lavoro di impaginazione, se non vi è un chiaro progetto definito, è perlomeno necessario figurarsi uno stile generale, un’intenzione complessiva, degli elementi coordinati.

Come si diceva, l’impaginazione “pura e semplice” è questa: adattamento di contenuti testuali e grafici secondo un progetto grafico pre-esistente, applicazione dei criteri tipografici già stabiliti, soluzione di problemi relativi e preparazione del file per la stampa o il supporto digitale.

Un progetto grafico parte da considerazioni primarie, si sviluppa attraverso un concetto generale per finire col determinare le caratteristiche di struttura e stile.

Ed ancora, scende progressivamente nel dettaglio, inizia stabilendo il formato della pagina, per passare poi ai margini e alle colonne. Determina i caratteri, l’allineamento e i rientri del paragrafo, l’interlinea.

Il progetto grafico determina anche lo stile delle illustrazioni e della grafica, le loro proporzioni generali, la presenza di spazi bianchi, le testate, la disposizione delle didascalie, realizza le pagine mastro, decide il tipo di carta e la tecnica di stampa.

Queste sono decisioni proprie del progettista/designer grafico. Il lavoro di impaginazione mette in pratica, interpreta, adatta tali decisioni e risolve gli intoppi.

Gestione del carattere tipografico

L’impaginazione professionale è consapevole della potenzialità comunicativa del carattere tipografico e del suo peso nell’armonia generale dell’impaginazione

L'importanza del carattere nell'impaginazione professionale. Anatomia del carattere tipografico

Il “vecchio” insegnamento è fondamentalmente all’insegna della prudenza: usare pochi caratteri ed evitare quelli troppo fantasiosi. Buoni consigli ai quali però è meglio non affezionarsi troppo se ci si vuole elevare dalla mediocrità.

Sebbene coi “piedi per terra”, un impaginato professionale esplora nuovi caratteri, cerca di andare oltre i soliti cliché, come il Times, il Garamond o l’Helvetica facendolo, questo è sicuro, a ragion veduta.

Esiste una profusione di caratteri da far paura e per capirne le caratteristiche, lo stile, quando e come usarli o come abbinarli non basta una vita intera ma da impaginatori professionisti dobbiamo uscire di tanto in tanto, dalla nostra comfort zone e abbandonare i nostri cavalli di battaglia.

Da progettisti grafici abbiamo in un certo senso il dovere di sviluppare per il cliente uno stile personale. Da impaginatori “puri” dobbiamo almeno conoscere la logica alle spalle di queste scelte così da evitare errori di interpetazione.

Purtroppo molti lavori pretendo di avere stile ma, nella maggior parte dei casi, spiace dirlo, tale stile non esiste, sostituito piuttosto con un atteggiamento molto conservativo.

Perciò sostengo che un pizzico di originalità e di funzionalità in più nella scelta del carattere (e non solo) sia un vero e proprio ingrediente di un impaginazione professionale.

Richiede studio e pratica e anche per questo un lavoro di impaginazione, con alle spalle un reale progetto grafico, è più costoso.

I progettisti grafici dovrebbero perciò andare “oltre il Garamond”. È un carattere perfetto ed è giustamente molto utilizzato ma un ingrediente della comunicazione è la “personalità” o lo “stile” e un carattere usato nel 90% dei testi non aiuta in questo.

Pensiamo quindi un po’ fuori dagli schemi e valutiamo, ad esempio, un Baskerville, un Caslon oppure, un Garamond un po’ più moderno o dei caratteri dritti come un Gill Sans, Open Sans o un Avenir. Qualche nome a caso, tanto per citarne qualcuno tra i tantissimi.

Teniamo presente che esistono famiglie più recenti dei caratteri classici, con quel tocco di modernità in più e che, tra l’altro, offrono una scelta di glifi molto superiore (glifi: i singoli simboli di lettere, numeri, punteggiatura e caratteri speciali che corredano un font).

Esistono infatti limiti tecnici dei quali l’impaginatore deve essere consapevole. Molti caratteri hanno un insieme di glifi limitato che potrebbero creare problemi nello scrivere caratteri greci o giapponesi (ad esempio) oppure i simboli matematici.

Capita abbastanza spesso, proprio per la ragione sopraccitata, che in fase di impaginazione si debba caricare un font diverso (file) dello stesso carattere (simbolo grafico di un lettera o segno).

Alcuni caratteri mancano addirittura di un vero corsivo (che non è semplicemente il carattere normale inclinato). Potrebbe rendersi necessario perfino rivedere le scelte tipografiche già fatte utilizzando una famiglia di caratteri simile ma più completa.

Un progetto grafico professionale di solito non abbina più di due/tre tipi di carattere. È una buona regola, che vale soprattutto nei saggi e nei romanzi, ma come tutte le regole sono fatte per essere violate di tanto in tanto, ricordandoci che il nostro ingegno creativo comanda.

Nell’impaginazione di una rivista, i caratteri impiegati potrebbero essere molti di più ma sempre in relazione alla complessità dei contenuti.

Pur essendo vero che un lavoro professionale non è comunque mai fatto di un minestrone di caratteri diversi usati per puro scopo estetico o per dare vivacità, è necessario evadere dalle buone regole scolastiche se ci si vuole elevare dal semplice lavoro eseguito in modo ordinato all’impaginazione professionale.

Allineamento del paragrafo

L’impaginazione e la progettazione grafica professionale valuta diverse soluzioni di allineamento del paragrafo

Sembra quasi sacrilego proporre al cliente un allineamento sbandierato a sinistra. Il pacchettino squadrato di testo, con le righe tutte uguali riscuote sempre tanto successo. Tuttavia l’allineamento a sinistra offre molti vantaggi “tecnici”, ha uno stile più marcato e in certi casi è indispensabile.

In un impaginato a colonne strette, l’allineamento giustificato crea, anche in presenza di sillabazione corretta, degli spazi molto larghi tra le parole. Il fatto che questi a molti non diano fastidio sembra essere un mistero che la scienza ancora non ha spiegato.

In un libro, dove di solito il testo è in una colonna, possiamo sfruttare appieno questo tipo di giustificazione. In un libro o rivista con più colonne direi, per usare un eufemismo, di essere prudenti.

Quelle righe tutte forzatamente della stessa lunghezza, come un battaglione in marcia a una parata militare, non sono necessariamente belle e funzionali anche se sono certo molto… marziali.

In genere, quindi, con colonne larghe va molto bene un allineamento giustificato, con colonne strette un allineamento a sinistra.

In entrambi i casi, usate la sillabazione (gli “a capo”). Non c’è niente di cui vergognarsi, la grammatica lo prevede. Le parole vengono spezzate automaticamente e in modo corretto dal software (purché si selezioni la lingua giusta). Mai, mai e poi mai sillabare manualmente con il semplice inserimento del trattino da tastiera.

Esistono casomai modi corretti per regolare o forzare la sillabazione a nostro piacimento, ogni software serio di elaborazione testi o di impaginazione ha il suo.

esempio di pagina due colonne allineamento a sinistra

Allineamento sinistro. Carattere Didot. Questo potrebbe essere considerato un “carattere impegnativo”. Occupa spazio, presenta forti contrasti, ha un forte stile e una marcata personalità. In questo impaginato serve un allineamento sinistro. Vi avverto: nove persone su dieci lo criticheranno, persistete perché anch’esse alla lunga lo apprezzeranno. (Pagina rivista – Graphic Design studio Gislon)

Vedove, orfane ed altre tristi vicissitudini

L’impaginazione professionale elimina spietatamente le righe di testo isolate

Faccio tuttora confusione sui termini vedova e orfana poiché indicano un problema quasi identico: le righe isolate a inizio o fine pagina. Queste righe solitarie sono una delle cose più brutte da vedere in un testo.

Lo sono anche, magari un po’ meno, quelle singole parole o quelle poche lettere che se ne stanno a capo da sole. Il massimo lo si raggiunge, questo è certo, col rimando della nota che rimane da solo a inizio riga, difetto causato dal fatto che si è inserito uno spazio tra la parola e il numero di nota tramite la barra spaziatrice.

Ci sono vari trucchi del mestiere per risolvere questo, sempre più raffinati man mano che la propria competenza aumenta ed hanno a che vedere con minimi aggiustamenti della distanza tra le singole lettere (tracking), o con un leggerissima (mi raccomando) distorsione orizzontale del carattere.

È possibile aggiungere anche degli “spazi unificatori” o forzare la sillabazione con “trattini facoltativi”. Tutti metodi che aggiungono spazio tra i caratteri senza interrompere la continuità della parola.

Se nel testo vi sono immagini, si gioca sulle loro dimensioni o sugli spazi tra le didascalie così che il testo scorra opportunamente avvantaggiandosi della creazione di gradevoli spazi bianchi che sembreranno casuali mentre noi sappiamo essere una subdola furbizia.

L’inserimento di citazioni e la disposizione ad arte delle didascalie sono un altro paio di trucchi da professionista. L’obiettivo non è ottenere una pagina zeppa, squadrata e soffocante. L’intento è quello di aver pieno controllo sullo scorrimento del testo, creare armonia, bellezza, rendere facile la lettura, valorizzare i contenuti.

composizione tipografica finale nell'impaginazione di una rivista
Impaginazione rivista - esempio

Le pagine affiancate di una rivista. Sopra prima della correzione di vedove/orfane e parole isolate, sotto, la versione finale. Notate il titolo di paragrafo in cima colonna sinistra di pagina destra. Notate come non vi siano parole isolate a capo riga. Notate come lo spazio sotto la didascalia dia un po’ di “respiro” alla pagina. Graphic Design studio Gislon

Spazi bianchi

In un progetto grafico professionale lo spazio bianco non è vuoto

Gli spazi bianchi sono tanto necessari quanto gli spazi pieni. Lo “spazio bianco” è un elemento della composizione grafica. L’impaginatore professionista si troverà spesso a gestire tale aspetto anche se lo stile generale o perfino il progetto grafico dettagliato è dato dal progettista.

Lo spazio bianco disposto ad arte sulla pagina comunica ordine, importanza e rende più agevole e riposante la lettura. Insomma, questo “niente” fa diverse cose.

Laddove possibile è meglio che il titolo di un paragrafo sia a inizio pagina o inizio colonna e di sicuro non deve mai essere alla fine, lasciato da solo o con una/due righe soltanto a fargli compagnia.

Non utilizzate rientri (il tasto “Enter”)e spazi bianchi (Barra spaziatrice) per creare distanziamenti aggiuntivi tra paragrafi e tra singole parole o singole lettere.

Anche il rientro forzato “shift+return” causa effetti indesiderati poiché si porta dietro la formattazione del paragrafo.

impaginazione professionale e gestione spazio bianco
bilanciamento delle colonne di un libro

Vi ritroverete di sicuro ad avere “spazi bianchi” indesiderati. L’impaginazione professionale li risolve nel modo migliore dando a tali spazi un senso creativo o quantomeno organizzativo o semplicemente estetico. In questo, si è optato per dare una lunghezza uguale alle colonne finali, con la nota in basse che chiude comunque la pagina. Graphic Design studio Gislon

Il modo corretto per creare spazio è impostare una distanza prima e dopo nella formattazione del paragrafo. I vantaggi rispetto all’uso del tasto “return” sono molteplici:

  • se usiamo gli stili di paragrafo (e dovremmo assolutamente) lo spazio verrà applicato automaticamente risparmiandoci tempo e dimenticanze.
  • Se il testo scorre e il nostro paragrafo si posizionerà a inizio colonna, lo spazio iniziale non verrà applicato.
  • È possibile applicare qualsiasi distanza piuttosto che semplici multipli di interlinea.
  • Se realizziamo ebook formato epub la distanza verrà rispettata.

Il modo corretto per creare ulteriore spazio bianco tra parole e caratteri è aumentare la crenatura (termine tipografico che indica la regolazione dello spazio tra singoli caratteri) o tramite l’utilizzo di spazi unificatori (speciali spazi aggiunti tramite il software che non vengono mai spezzati).

Un libro o una rivista devono comunicare

Non essere sfoggio di elucubrazioni stilistiche

In un testo che lessi tempo fa veniva chiamata “segnalazione eccessiva”. Accade quando usiamo vari modi contemporaneamente per evidenziare un paragrafo. Si può usare dello “spazio dopo” o un rientro (meglio) ma quasi mai entrambi.

Un po’ come l’uso del corsivo e del grassetto contemporaneamente o delle virgolette che racchiudono parole in corsivo. Le virgolette o il corsivo. Il grassetto o il corsivo.

Un’impaginazione professionale utilizza il minor numero di espedienti per evidenziare le varie parti del testo. Questo è in pratica quello che si intende con “impaginato pulito” oltre che l’attenersi a una gabbia.

Consiglierei in tal senso un ottimo manuale di stile, quello Zingarelli per esempio. Molto approfondito e preciso ma capace di dare anche chiare indicazioni.

Forse le due parole chiavi sono “semplicità” e “coerenza”. Evidenziare moltissime parole presupponendo di imporre per esse un peso maggiore e un significato un po’ diverso, “intrappola” il lettore.

Il lettore non è stupido e non è una macchina. In una certa misure deve stabilire lui stesso cosa è importante e cosa no e non deve chiedersi perché un termine sia in corsivo, un altro in grassetto o perché una frase sia tra virgolette.

Rilievi eccessivi causeranno solo malcomprensioni e renderanno la lettura più difficile.

Gabbia e impaginazione professionale

Serve ordine per creare ritmo, contrasti e… disordine

È una tipica scelta di progettazione che si sovrappone completamente al lavoro dell’impaginatore, il quale deve averne una piena comprensione per poter disporvi in modo coerente gli elementi.

La gabbia aggiunge ritmo, ordine, prevedibilità e, al contempo, ci suggerisce dove piazzare, di tanto in tanto qualche elemento di sorpresa.

Come si può “uscire dagli schemi” se in primo luogo non ci sono schemi? Senza schemi ciò che chiamiamo vivacità è semplicemente caos. La gabbia tipografica è lo schema ma non la prigione di Alcatraz. Impone dei limiti e allo stesso tempo ci suggerisce il modo giusto per fuggirne.

Per quanto semplice, qualsiasi impaginato sottintende uno schema, la gabbia, per dirla in termini grafici. È presente anche in un semplice libro a una colonna: è fatta di margini, di distanza titoli-testo principale, di aree per le immagini.

In una rivista siamo quasi sempre di fronte a gabbie più complesse, fatte di colonne, multipli e divisori delle stesse e aree orizzontali. Blocchi di testo, immagini e spazio bianco si muovono come in una scacchiera in modo solo apparentemente casuale e solo apparentemente rigido.

La gabbia comanda e non solo ammette ma –richiede– qualche eccezione che vista con attenzione spesso eccezione non è. Mentre il grafico poco esperto vede imposizioni, il grafico e impaginatore professionista vede coerenza del messaggio e suggerimenti e coglie al volo il momento giusto per fott…, per infrangerle.

Impaginazione professionale… no, divina

La proporzione aurea nella grafica

La proporzione aurea è in pratica uno strumento del graphic design ed è usata nella composizione grafica per definire il formato della pagina e la gabbia. È giusto che anche il mero impaginatore ne sia consapevole.

Quando due misure sono nel rapporto 1:1,618. abbiamo quella che si definisce “proporzione aurea” o “proporzione divina”. L’origine matematica è stabilita dal fatto che un numero in una sequenza è il risultato della somma dei due precedenti.

Nella sequenza 1, 2, 3, 5, 8, 13, 21, 34, 55… man mano che si procede, il rapporto tra gli ultimi due numeri della lista si approssima sempre più al valore 1,618. Questo rapporto viene usato a mani basse nell’arte, dalla grafica all’architettura fin dai tempi antichi e si riscontra anche in natura.

Esso sembra perciò rappresentare un sunto di perfezione “cosmica” che usato spesso nella grafica per determinare la proporzione della gabbia del testo o dell’insieme delle colonne. Giusto un esempio: in un libro potremmo avere una gabbia di testo larga 12 cm e alta 12 x 1,618 = 19,4.

È un peccato che attualmente si usino spesso formati molto più schiacciati. Non sarebbe sbagliato se non fosse frutto di ignoranza e pigrizia. Un libro tascabile, per esempio, è tale solo se ha un rapporto simile, altrimenti è solo un libro… piccolo.

La proporzione aurea è comunque uno strumento, non un vincolo. Non si –deve– rispettare la proporzione aura, si –può–. Si può usare nell’impostare le dimensioni della pagina o della gabbia di testo principale o come calcolo nella disposizione degli elementi.

Per semplificare possiamo usare il rapporto 8:13 e possiamo semplificare ancora: questo rapporto infatti è il “papà” della regola dei terzi, ovvero del rapporto 2:3. Proporzioni molto simili e molto usate in tutte le arti grafiche.

Questo spiega perché è gradevole e interessante una pagina divisa a tre colonne, con le immagini che possono occupare 1 colonna (1/3), 2 colonne (2/3) o 3 (3/3). Senza diventare schiava nemmeno di questa regola, l’impaginazione professionale ne fa comunque un uso costante e consapevole.

Come si dice? Il 3 è il numero perfetto, no? Anche questa considerazione è parente della Regola Aurea. Alla faccia di chi confonde arte con stravaganti fantasie!

Errori

Domanda da un milione di dollari: come correggere un impaginato?

L’impaginatore non è responsabile della correzione delle bozze ma è responsabile di inserire tutto e correttamente il contenuto fornitogli.

Se l’impaginatore ha fatto perfettamente il suo lavoro, gli unici errori presenti nei testi saranno quelli sfuggiti all’autore stesso. Qualcuno ne resta sempre anche se è già stato fatto un editing approfondito.

Ma anche in fase di impaginazione possono essere commessi errori e comunque alcuni di essi cadono, volenti o nolenti, nel piatto dell’impaginatore come, ad esempio, quando l’autore usa il trattino della tastiera per sillabare le parole o usa il tasto “return” a profusione. Oppure quando mette lo spazio normale prima dell’apice di nota o prima della punteggiatura. Tutti errori frequentissimi.

Quando poi in corso d’opera si decide, ad esempio, di cambiare le maiuscole in minuscole o di scrivere in un certo modo gli acronimi… si aprono allora nuove possibilità di errore.

Accade quindi che anche in fase di impaginazione sia necessario effettuare approfonditi controlli in tal senso.

Non vorrei essere banale ma non trovo modi migliori per dirlo: un testo dovrebbe essere privo di errori grammaticali e refusi tipografici. È difficile arrivare alla perfezione tant’è che forse quasi nessun impaginato è completamente privo di errori.

Questo aspetto è stato già trattato approfonditamente in alcuni articoli sulla correzione di bozze in questo blog. Qui vorrei ribadire solo alcuni aspetti. Primo fra tutti, l’assoluta maggiore efficacia del controllo fatto su carta rispetto al controllo su schermo.

Prima però di procedere a un controllo su carta, conviene fare il possibile per risolvere a schermo eventuali errori,almeno per risparmiare un po’ di costoso toner. Ma un ulteriore passaggio intermedio dal programma di impaginazione alla carta potrebbe essere rappresentato dal formato Pdf.

Un controllo a schermo sul pdf è già più preciso del controllo sul software di impaginazione o scrittura (Indesign o Word). Questo perché la versione Pdf è molto più “pulita” non presentando guide, pannelli e altre indicazioni.

Personalmente uso molto anche le modalità “presentazione” di Indesign. Alla fine, quando non riuscite a trovare più errori sullo schermo, stampate e ricontrollate, meglio se fate passare un giorno e meglio ancora, due.

Altra caratteristica dell’impaginazione professionale è l’attingere a piene mani agli strumenti che il software mette a disposizione. Il controllo ortografico in primis ma anche le funzioni di ricerca/sostituzione e magari, i più fanatici come me, anche gli stili Grep (scopri cosa sono in questo mio articolo).

Un altro espediente molto utile è usare la funzione di lettura ad alta voce presente in Word e in altri software e concentrarsi sull’ascolto, senza leggere contemporaneamente il testo.

Gli errori sono figli diretti delle cose fatte troppo tardi. Un lavoro importante deve essere completato almeno una settimana prima del giorno previsto di stampa o di pubblicazione.

Preparazione alla stampa

Occhio alle “cose ovvie che nessuno controlla”

Cosa può accadere in stampa di tanto grave? Non molto una volta verificati i punti precedenti. La stampa riflette principalmente quello che si vede sullo schermo ma attenti a un paio di trabocchetti e attenti a dare per scontato certi aspetti.

Il primo è che i testi principali non siano nero pieno ma un nero fatto da più colori base. Come saprete si stampa coi quattro colori di base (Ciano, Magenta, Giallo e Nero) di solito. Il testo principale deve però essere composto solo del colore nero.

Se il nero dei testi, come spesso accade nel testo importato da Word, è un nero fatto di più colori, in stampa tali colori si potrebbero sovrapporre sfalsati. Questo problema si riscontra prevalentemente nel testo di piccole dimensioni.

Il secondo è che le immagini devono essere in alta definizione. Per semplificare, tra i 200 e i 300 dpi per le immagini fotografiche (a tono continuo, senza stacchi di colore netti). Le immagine quali logo, logotipi e simboli devono invece essere vettoriali.

Per queste immagini, non molti lo sanno, non sono affatto sufficienti i canonici 300 dpi. O adoperiamo file a definizione elevatissima (e pesantissimi) oppure (molto meglio) usiamo il formato vettoriale che viene sempre stampato alla definizione massima della macchina tipografica (generalmente, quelle professionali 2500 dpi).

Occhio di nuovo agli errori grossolani

Calma, siete ancora in tempo. Non trascurate la possibilità di errori grossolani. Proprio perché sono davanti ai vostri occhi e magari sono stati davanti a quelli di tutte le persone che hanno controllato prima, potreste pensare che non vi sia necessità di ulteriore controllo.

Non parlo di una revisione del lavoro, parlo di un veloce ripasso di alcuni elementi fondamentali prima di dare il “visto si stampi”:

  • Titoli principali dei capitoli o degli articoli con refusi
  • Indice con numeri di pagina sbagliati
  • Codici, periodicità, informazioni di copyright sbagliate
  • Pagine prive del numero di pagina
  • Intestazioni che non corrispondono ai contenuti
  • Parti di testo e immagini mancanti

Mentre un errore nel testo principale o in una didascalia può essere perdonato, in un titolo potrebbero essere guai seri.

Le sviste più pericolose riguardano le parti più semplici perché nessuno le controlla. Quante ne ho trovate nella mia carriera! Sviste che avrebbero fatto buttare al vendo migliaia di euro alla volta.

Esistono mezzi automatici o semi-automatici per effettuare controlli in tal senso ed è possibile utilizzare variabili e indici che si aggiornano semi-automaticamente. Ma non ci si può affidare completamente ad essi.

Potremmo dire che l’impaginazione professionale sfrutta al massimo la tecnologia del software per questo tipo di controlli ad esempio attraverso l’uso di variabili per controllare, l’uniformità delle testate, i numeri di pagina e i rimandi.

Per finire, una raccomandazione un po’ strana, se vogliamo: non abbiate paura di trovare errori, non vergognatevi di farli e non abbiate sensi di colpa. E posso garantire che sono i più pronti a biasimare il prossimo a commetterne di più.

Conclusioni

Chiunque può impaginare un libro o una rivista, chiunque. Così come chiunque può tirare sù un muro di mattoni tutto storto. Cos’è invece un lavoro a regola d’arte? Questo è quello a cui ho cercato di rispondere in questo articolo.

È stata una bella corsa, quasi senza tirare il fiato. Volutamente non sono sceso nei dettagli perché ho scritto diversi altri articoli sui diversi punti qui sorvolati che approfondiscono il soggetto.

Il cliente è sempre più esigente, il software aiuta sempre di più. Ma il grafico, impaginatore o progettista che sia, è sempre più preparato?

Non sempre ma dovrebbe. Guadagnerebbe e si… divertirebbe di più! Mentre il cliente alla lunga sarebbe più soddisfatto e disporrebbe di un investimento migliore.

Buona impaginazione… professionale.

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Impaginazione professionale. I segreti dei professionisti

Esiste l’impaginazione ed esiste una specie un po’ diversa: l’impaginazione professionale. Un termine che ho dovuto coniare per l’enorme diffondersi di servizi di impaginazione imprecisi, superficiali, carenti di stile, ordine e chiarezza. In questo articolo andremo a definire habitat e comportamenti di questa “specie”

Impaginazione professionale rivista con semplice gabbia

Nei paragrafi che seguono, troverai anche una disamina delle migliori pratiche di impaginazione e composizione. Troverai esposti i maggiori ostacoli verso tale obiettivo e le strategie per superarli con disinvoltura.

Un articolo sunto di trent’anni di esperienza nel mondo della grafica editoriale, dedicato ad aspiranti “impaginatori”, editori, imprenditori o autori che cercano una “scena ideale”.

Impaginazione o composizione tipografica?

Un “puro” servizio di impaginazione si limiterebbe ad inserire testi e immagini secondo un progetto grafico già definito nei dettagli.

Non è affatto facile come sembra poiché proprio il dover rimanere fedeli a un preciso dettame impone di conoscere parecchi trucchi del mestiere.

Ad ogni modo, di fatto, tale termine viene usato come sinonimo di composizione tipografica, in modo quasi intercambiabile.

Nell’idea comune l’impaginazione arriva, in altre parole, a includere aspetti che, ad essere precisi e scolastici, appartengono alla composizione tipografica come: la scelta dei caratteri e loro varianti, l’allineamento dei paragrafi, gli stili, la disposizione dei titoli, delle citazioni, delle note ecc.

Quando il cliente mi chiede di impaginare un libro, nove volte su dieci mi intende un servizio che include la composizione tipografica. I contenuti di questo articolo vanno perciò intesi in questo significato ampliato e mi perdonino i “puristi”.

Impaginazione professionale: il segreto principale

Forse uno dei segreti fondamentali di tale “scena ideale”, dell’impaginazione o della composizione tipografica che dir si voglia, è la coerenza.

Potrà essere un impaginato molto articolato e complesso, come un catalogo ad esempio, ma se mantiene una stessa logica interna sarà comunque elegante e capace di comunicare in modo schietto e preciso.

L’integrazione di testi e immagini tale da dare ritmo e formare un tutt’uno organizzato e compatto potrebbe essere definito l’altro “segreto” principale, suo parente stretto.

Ma coerenza e integrazione non sono cose semplici da raggiungere e di solito celano molto bene strategie che solo anni di esperienza permettono di mettere in pratica e che qui proviamo a illustrare.

impaginazione prpofessionale profilo aziendale
Impaginazione profilo aziendale per Aurora Costruzioni. Graphic design studio Gislon
Esempio di impaginato

Impaginazione rivista Europa Uomo. Graphic design Carlo Gislon

Prima dell’impaginazione: il progetto grafico

Potremmo affermare che l’impaginazione professionale non esiste se manca a priori un progetto grafico. Molti problemi di impaginazione hanno origine nella mancanza di un buon design grafico.

Quando si presenta un lavoro di impaginazione, se non vi è un chiaro progetto definito, è perlomeno necessario figurarsi uno stile generale, un’intenzione complessiva, degli elementi coordinati.

Come si diceva, l’impaginazione “pura e semplice” è questa: adattamento di contenuti testuali e grafici secondo un progetto grafico pre-esistente, applicazione dei criteri tipografici già stabiliti, soluzione di problemi relativi e preparazione del file per la stampa o il supporto digitale.

Un progetto grafico parte da considerazioni primarie, si sviluppa attraverso un concetto generale per finire col determinare le caratteristiche di struttura e stile.

Ed ancora, scende progressivamente nel dettaglio, inizia stabilendo il formato della pagina, per passare poi ai margini e alle colonne. Determina i caratteri, l’allineamento e i rientri del paragrafo, l’interlinea.

Il progetto grafico determina anche lo stile delle illustrazioni e della grafica, le loro proporzioni generali, la presenza di spazi bianchi, le testate, la disposizione delle didascalie, realizza le pagine mastro, decide il tipo di carta e la tecnica di stampa.

Queste sono decisioni proprie del progettista/designer grafico. Il lavoro di impaginazione mette in pratica, interpreta, adatta tali decisioni e risolve gli intoppi.

Gestione del carattere tipografico

L’impaginazione professionale è consapevole della potenzialità comunicativa del carattere tipografico e del suo peso nell’armonia generale dell’impaginazione

L'importanza del carattere nell'impaginazione professionale. Anatomia del carattere tipografico

Il “vecchio” insegnamento è fondamentalmente all’insegna della prudenza: usare pochi caratteri ed evitare quelli troppo fantasiosi. Buoni consigli ai quali però è meglio non affezionarsi troppo se ci si vuole elevare dalla mediocrità.

Sebbene coi “piedi per terra”, un impaginato professionale esplora nuovi caratteri, cerca di andare oltre i soliti cliché, come il Times, il Garamond o l’Helvetica facendolo, questo è sicuro, a ragion veduta.

Esiste una profusione di caratteri da far paura e per capirne le caratteristiche, lo stile, quando e come usarli o come abbinarli non basta una vita intera ma da impaginatori professionisti dobbiamo uscire di tanto in tanto, dalla nostra comfort zone e abbandonare i nostri cavalli di battaglia.

Da progettisti grafici abbiamo in un certo senso il dovere di sviluppare per il cliente uno stile personale. Da impaginatori “puri” dobbiamo almeno conoscere la logica alle spalle di queste scelte così da evitare errori di interpetazione.

Purtroppo molti lavori pretendo di avere stile ma, nella maggior parte dei casi, spiace dirlo, tale stile non esiste, sostituito piuttosto con un atteggiamento molto conservativo.

Perciò sostengo che un pizzico di originalità e di funzionalità in più nella scelta del carattere (e non solo) sia un vero e proprio ingrediente di un impaginazione professionale.

Richiede studio e pratica e anche per questo un lavoro di impaginazione, con alle spalle un reale progetto grafico, è più costoso.

I progettisti grafici dovrebbero perciò andare “oltre il Garamond”. È un carattere perfetto ed è giustamente molto utilizzato ma un ingrediente della comunicazione è la “personalità” o lo “stile” e un carattere usato nel 90% dei testi non aiuta in questo.

Pensiamo quindi un po’ fuori dagli schemi e valutiamo, ad esempio, un Baskerville, un Caslon oppure, un Garamond un po’ più moderno o dei caratteri dritti come un Gill Sans, Open Sans o un Avenir. Qualche nome a caso, tanto per citarne qualcuno tra i tantissimi.

Teniamo presente che esistono famiglie più recenti dei caratteri classici, con quel tocco di modernità in più e che, tra l’altro, offrono una scelta di glifi molto superiore (glifi: i singoli simboli di lettere, numeri, punteggiatura e caratteri speciali che corredano un font).

Esistono infatti limiti tecnici dei quali l’impaginatore deve essere consapevole. Molti caratteri hanno un insieme di glifi limitato che potrebbero creare problemi nello scrivere caratteri greci o giapponesi (ad esempio) oppure i simboli matematici.

Capita abbastanza spesso, proprio per la ragione sopraccitata, che in fase di impaginazione si debba caricare un font diverso (file) dello stesso carattere (simbolo grafico di un lettera o segno).

Alcuni caratteri mancano addirittura di un vero corsivo (che non è semplicemente il carattere normale inclinato). Potrebbe rendersi necessario perfino rivedere le scelte tipografiche già fatte utilizzando una famiglia di caratteri simile ma più completa.

Un progetto grafico professionale di solito non abbina più di due/tre tipi di carattere. È una buona regola, che vale soprattutto nei saggi e nei romanzi, ma come tutte le regole sono fatte per essere violate di tanto in tanto, ricordandoci che il nostro ingegno creativo comanda.

Nell’impaginazione di una rivista, i caratteri impiegati potrebbero essere molti di più ma sempre in relazione alla complessità dei contenuti.

Pur essendo vero che un lavoro professionale non è comunque mai fatto di un minestrone di caratteri diversi usati per puro scopo estetico o per dare vivacità, è necessario evadere dalle buone regole scolastiche se ci si vuole elevare dal semplice lavoro eseguito in modo ordinato all’impaginazione professionale.

Allineamento del paragrafo

L’impaginazione e la progettazione grafica professionale valuta diverse soluzioni di allineamento del paragrafo

Sembra quasi sacrilego proporre al cliente un allineamento sbandierato a sinistra. Il pacchettino squadrato di testo, con le righe tutte uguali riscuote sempre tanto successo. Tuttavia l’allineamento a sinistra offre molti vantaggi “tecnici”, ha uno stile più marcato e in certi casi è indispensabile.

In un impaginato a colonne strette, l’allineamento giustificato crea, anche in presenza di sillabazione corretta, degli spazi molto larghi tra le parole. Il fatto che questi a molti non diano fastidio sembra essere un mistero che la scienza ancora non ha spiegato.

In un libro, dove di solito il testo è in una colonna, possiamo sfruttare appieno questo tipo di giustificazione. In un libro o rivista con più colonne direi, per usare un eufemismo, di essere prudenti.

Quelle righe tutte forzatamente della stessa lunghezza, come un battaglione in marcia a una parata militare, non sono necessariamente belle e funzionali anche se sono certo molto… marziali.

In genere, quindi, con colonne larghe va molto bene un allineamento giustificato, con colonne strette un allineamento a sinistra.

In entrambi i casi, usate la sillabazione (gli “a capo”). Non c’è niente di cui vergognarsi, la grammatica lo prevede. Le parole vengono spezzate automaticamente e in modo corretto dal software (purché si selezioni la lingua giusta). Mai, mai e poi mai sillabare manualmente con il semplice inserimento del trattino da tastiera.

Esistono casomai modi corretti per regolare o forzare la sillabazione a nostro piacimento, ogni software serio di elaborazione testi o di impaginazione ha il suo.

esempio di pagina due colonne allineamento a sinistra

Allineamento sinistro. Carattere Didot. Questo potrebbe essere considerato un “carattere impegnativo”. Occupa spazio, presenta forti contrasti, ha un forte stile e una marcata personalità. In questo impaginato serve un allineamento sinistro. Vi avverto: nove persone su dieci lo criticheranno, persistete perché anch’esse alla lunga lo apprezzeranno. (Pagina rivista – Graphic Design studio Gislon)

Vedove, orfane ed altre tristi vicissitudini

L’impaginazione professionale elimina spietatamente le righe di testo isolate

Faccio tuttora confusione sui termini vedova e orfana poiché indicano un problema quasi identico: le righe isolate a inizio o fine pagina. Queste righe solitarie sono una delle cose più brutte da vedere in un testo.

Lo sono anche, magari un po’ meno, quelle singole parole o quelle poche lettere che se ne stanno a capo da sole. Il massimo lo si raggiunge, questo è certo, col rimando della nota che rimane da solo a inizio riga, difetto causato dal fatto che si è inserito uno spazio tra la parola e il numero di nota tramite la barra spaziatrice.

Ci sono vari trucchi del mestiere per risolvere questo, sempre più raffinati man mano che la propria competenza aumenta ed hanno a che vedere con minimi aggiustamenti della distanza tra le singole lettere (tracking), o con un leggerissima (mi raccomando) distorsione orizzontale del carattere.

È possibile aggiungere anche degli “spazi unificatori” o forzare la sillabazione con “trattini facoltativi”. Tutti metodi che aggiungono spazio tra i caratteri senza interrompere la continuità della parola.

Se nel testo vi sono immagini, si gioca sulle loro dimensioni o sugli spazi tra le didascalie così che il testo scorra opportunamente avvantaggiandosi della creazione di gradevoli spazi bianchi che sembreranno casuali mentre noi sappiamo essere una subdola furbizia.

L’inserimento di citazioni e la disposizione ad arte delle didascalie sono un altro paio di trucchi da professionista. L’obiettivo non è ottenere una pagina zeppa, squadrata e soffocante. L’intento è quello di aver pieno controllo sullo scorrimento del testo, creare armonia, bellezza, rendere facile la lettura, valorizzare i contenuti.

composizione tipografica finale nell'impaginazione di una rivista
Impaginazione rivista - esempio

Le pagine affiancate di una rivista. Sopra prima della correzione di vedove/orfane e parole isolate, sotto, la versione finale. Notate il titolo di paragrafo in cima colonna sinistra di pagina destra. Notate come non vi siano parole isolate a capo riga. Notate come lo spazio sotto la didascalia dia un po’ di “respiro” alla pagina. Graphic Design studio Gislon

Spazi bianchi

In un progetto grafico professionale lo spazio bianco non è vuoto

Gli spazi bianchi sono tanto necessari quanto gli spazi pieni. Lo “spazio bianco” è un elemento della composizione grafica. L’impaginatore professionista si troverà spesso a gestire tale aspetto anche se lo stile generale o perfino il progetto grafico dettagliato è dato dal progettista.

Lo spazio bianco disposto ad arte sulla pagina comunica ordine, importanza e rende più agevole e riposante la lettura. Insomma, questo “niente” fa diverse cose.

Laddove possibile è meglio che il titolo di un paragrafo sia a inizio pagina o inizio colonna e di sicuro non deve mai essere alla fine, lasciato da solo o con una/due righe soltanto a fargli compagnia.

Non utilizzate rientri (il tasto “Enter”)e spazi bianchi (Barra spaziatrice) per creare distanziamenti aggiuntivi tra paragrafi e tra singole parole o singole lettere.

Anche il rientro forzato “shift+return” causa effetti indesiderati poiché si porta dietro la formattazione del paragrafo.

impaginazione professionale e gestione spazio bianco
bilanciamento delle colonne di un libro

Vi ritroverete di sicuro ad avere “spazi bianchi” indesiderati. L’impaginazione professionale li risolve nel modo migliore dando a tali spazi un senso creativo o quantomeno organizzativo o semplicemente estetico. In questo, si è optato per dare una lunghezza uguale alle colonne finali, con la nota in basse che chiude comunque la pagina. Graphic Design studio Gislon

Il modo corretto per creare spazio è impostare una distanza prima e dopo nella formattazione del paragrafo. I vantaggi rispetto all’uso del tasto “return” sono molteplici:

  • se usiamo gli stili di paragrafo (e dovremmo assolutamente) lo spazio verrà applicato automaticamente risparmiandoci tempo e dimenticanze.
  • Se il testo scorre e il nostro paragrafo si posizionerà a inizio colonna, lo spazio iniziale non verrà applicato.
  • È possibile applicare qualsiasi distanza piuttosto che semplici multipli di interlinea.
  • Se realizziamo ebook formato epub la distanza verrà rispettata.

Il modo corretto per creare ulteriore spazio bianco tra parole e caratteri è aumentare la crenatura (termine tipografico che indica la regolazione dello spazio tra singoli caratteri) o tramite l’utilizzo di spazi unificatori (speciali spazi aggiunti tramite il software che non vengono mai spezzati).

Un libro o una rivista devono comunicare

Non essere sfoggio di elucubrazioni stilistiche

In un testo che lessi tempo fa veniva chiamata “segnalazione eccessiva”. Accade quando usiamo vari modi contemporaneamente per evidenziare un paragrafo. Si può usare dello “spazio dopo” o un rientro (meglio) ma quasi mai entrambi.

Un po’ come l’uso del corsivo e del grassetto contemporaneamente o delle virgolette che racchiudono parole in corsivo. Le virgolette o il corsivo. Il grassetto o il corsivo.

Un’impaginazione professionale utilizza il minor numero di espedienti per evidenziare le varie parti del testo. Questo è in pratica quello che si intende con “impaginato pulito” oltre che l’attenersi a una gabbia.

Consiglierei in tal senso un ottimo manuale di stile, quello Zingarelli per esempio. Molto approfondito e preciso ma capace di dare anche chiare indicazioni.

Forse le due parole chiavi sono “semplicità” e “coerenza”. Evidenziare moltissime parole presupponendo di imporre per esse un peso maggiore e un significato un po’ diverso, “intrappola” il lettore.

Il lettore non è stupido e non è una macchina. In una certa misure deve stabilire lui stesso cosa è importante e cosa no e non deve chiedersi perché un termine sia in corsivo, un altro in grassetto o perché una frase sia tra virgolette.

Rilievi eccessivi causeranno solo malcomprensioni e renderanno la lettura più difficile.

Gabbia e impaginazione professionale

Serve ordine per creare ritmo, contrasti e… disordine

È una tipica scelta di progettazione che si sovrappone completamente al lavoro dell’impaginatore, il quale deve averne una piena comprensione per poter disporvi in modo coerente gli elementi.

La gabbia aggiunge ritmo, ordine, prevedibilità e, al contempo, ci suggerisce dove piazzare, di tanto in tanto qualche elemento di sorpresa.

Come si può “uscire dagli schemi” se in primo luogo non ci sono schemi? Senza schemi ciò che chiamiamo vivacità è semplicemente caos. La gabbia tipografica è lo schema ma non la prigione di Alcatraz. Impone dei limiti e allo stesso tempo ci suggerisce il modo giusto per fuggirne.

Per quanto semplice, qualsiasi impaginato sottintende uno schema, la gabbia, per dirla in termini grafici. È presente anche in un semplice libro a una colonna: è fatta di margini, di distanza titoli-testo principale, di aree per le immagini.

In una rivista siamo quasi sempre di fronte a gabbie più complesse, fatte di colonne, multipli e divisori delle stesse e aree orizzontali. Blocchi di testo, immagini e spazio bianco si muovono come in una scacchiera in modo solo apparentemente casuale e solo apparentemente rigido.

La gabbia comanda e non solo ammette ma –richiede– qualche eccezione che vista con attenzione spesso eccezione non è. Mentre il grafico poco esperto vede imposizioni, il grafico e impaginatore professionista vede coerenza del messaggio e suggerimenti e coglie al volo il momento giusto per fott…, per infrangerle.

Impaginazione professionale… no, divina

La proporzione aurea nella grafica

La proporzione aurea è in pratica uno strumento del graphic design ed è usata nella composizione grafica per definire il formato della pagina e la gabbia. È giusto che anche il mero impaginatore ne sia consapevole.

Quando due misure sono nel rapporto 1:1,618. abbiamo quella che si definisce “proporzione aurea” o “proporzione divina”. L’origine matematica è stabilita dal fatto che un numero in una sequenza è il risultato della somma dei due precedenti.

Nella sequenza 1, 2, 3, 5, 8, 13, 21, 34, 55… man mano che si procede, il rapporto tra gli ultimi due numeri della lista si approssima sempre più al valore 1,618. Questo rapporto viene usato a mani basse nell’arte, dalla grafica all’architettura fin dai tempi antichi e si riscontra anche in natura.

Esso sembra perciò rappresentare un sunto di perfezione “cosmica” che usato spesso nella grafica per determinare la proporzione della gabbia del testo o dell’insieme delle colonne. Giusto un esempio: in un libro potremmo avere una gabbia di testo larga 12 cm e alta 12 x 1,618 = 19,4.

È un peccato che attualmente si usino spesso formati molto più schiacciati. Non sarebbe sbagliato se non fosse frutto di ignoranza e pigrizia. Un libro tascabile, per esempio, è tale solo se ha un rapporto simile, altrimenti è solo un libro… piccolo.

La proporzione aurea è comunque uno strumento, non un vincolo. Non si –deve– rispettare la proporzione aura, si –può–. Si può usare nell’impostare le dimensioni della pagina o della gabbia di testo principale o come calcolo nella disposizione degli elementi.

Per semplificare possiamo usare il rapporto 8:13 e possiamo semplificare ancora: questo rapporto infatti è il “papà” della regola dei terzi, ovvero del rapporto 2:3. Proporzioni molto simili e molto usate in tutte le arti grafiche.

Questo spiega perché è gradevole e interessante una pagina divisa a tre colonne, con le immagini che possono occupare 1 colonna (1/3), 2 colonne (2/3) o 3 (3/3). Senza diventare schiava nemmeno di questa regola, l’impaginazione professionale ne fa comunque un uso costante e consapevole.

Come si dice? Il 3 è il numero perfetto, no? Anche questa considerazione è parente della Regola Aurea. Alla faccia di chi confonde arte con stravaganti fantasie!

Errori

Domanda da un milione di dollari: come correggere un impaginato?

L’impaginatore non è responsabile della correzione delle bozze ma è responsabile di inserire tutto e correttamente il contenuto fornitogli.

Se l’impaginatore ha fatto perfettamente il suo lavoro, gli unici errori presenti nei testi saranno quelli sfuggiti all’autore stesso. Qualcuno ne resta sempre anche se è già stato fatto un editing approfondito.

Ma anche in fase di impaginazione possono essere commessi errori e comunque alcuni di essi cadono, volenti o nolenti, nel piatto dell’impaginatore come, ad esempio, quando l’autore usa il trattino della tastiera per sillabare le parole o usa il tasto “return” a profusione. Oppure quando mette lo spazio normale prima dell’apice di nota o prima della punteggiatura. Tutti errori frequentissimi.

Quando poi in corso d’opera si decide, ad esempio, di cambiare le maiuscole in minuscole o di scrivere in un certo modo gli acronimi… si aprono allora nuove possibilità di errore.

Accade quindi che anche in fase di impaginazione sia necessario effettuare approfonditi controlli in tal senso.

Non vorrei essere banale ma non trovo modi migliori per dirlo: un testo dovrebbe essere privo di errori grammaticali e refusi tipografici. È difficile arrivare alla perfezione tant’è che forse quasi nessun impaginato è completamente privo di errori.

Questo aspetto è stato già trattato approfonditamente in alcuni articoli sulla correzione di bozze in questo blog. Qui vorrei ribadire solo alcuni aspetti. Primo fra tutti, l’assoluta maggiore efficacia del controllo fatto su carta rispetto al controllo su schermo.

Prima però di procedere a un controllo su carta, conviene fare il possibile per risolvere a schermo eventuali errori,almeno per risparmiare un po’ di costoso toner. Ma un ulteriore passaggio intermedio dal programma di impaginazione alla carta potrebbe essere rappresentato dal formato Pdf.

Un controllo a schermo sul pdf è già più preciso del controllo sul software di impaginazione o scrittura (Indesign o Word). Questo perché la versione Pdf è molto più “pulita” non presentando guide, pannelli e altre indicazioni.

Personalmente uso molto anche le modalità “presentazione” di Indesign. Alla fine, quando non riuscite a trovare più errori sullo schermo, stampate e ricontrollate, meglio se fate passare un giorno e meglio ancora, due.

Altra caratteristica dell’impaginazione professionale è l’attingere a piene mani agli strumenti che il software mette a disposizione. Il controllo ortografico in primis ma anche le funzioni di ricerca/sostituzione e magari, i più fanatici come me, anche gli stili Grep (scopri cosa sono in questo mio articolo).

Un altro espediente molto utile è usare la funzione di lettura ad alta voce presente in Word e in altri software e concentrarsi sull’ascolto, senza leggere contemporaneamente il testo.

Gli errori sono figli diretti delle cose fatte troppo tardi. Un lavoro importante deve essere completato almeno una settimana prima del giorno previsto di stampa o di pubblicazione.

Preparazione alla stampa

Occhio alle “cose ovvie che nessuno controlla”

Cosa può accadere in stampa di tanto grave? Non molto una volta verificati i punti precedenti. La stampa riflette principalmente quello che si vede sullo schermo ma attenti a un paio di trabocchetti e attenti a dare per scontato certi aspetti.

Il primo è che i testi principali non siano nero pieno ma un nero fatto da più colori base. Come saprete si stampa coi quattro colori di base (Ciano, Magenta, Giallo e Nero) di solito. Il testo principale deve però essere composto solo del colore nero.

Se il nero dei testi, come spesso accade nel testo importato da Word, è un nero fatto di più colori, in stampa tali colori si potrebbero sovrapporre sfalsati. Questo problema si riscontra prevalentemente nel testo di piccole dimensioni.

Il secondo è che le immagini devono essere in alta definizione. Per semplificare, tra i 200 e i 300 dpi per le immagini fotografiche (a tono continuo, senza stacchi di colore netti). Le immagine quali logo, logotipi e simboli devono invece essere vettoriali.

Per queste immagini, non molti lo sanno, non sono affatto sufficienti i canonici 300 dpi. O adoperiamo file a definizione elevatissima (e pesantissimi) oppure (molto meglio) usiamo il formato vettoriale che viene sempre stampato alla definizione massima della macchina tipografica (generalmente, quelle professionali 2500 dpi).

Occhio di nuovo agli errori grossolani

Calma, siete ancora in tempo. Non trascurate la possibilità di errori grossolani. Proprio perché sono davanti ai vostri occhi e magari sono stati davanti a quelli di tutte le persone che hanno controllato prima, potreste pensare che non vi sia necessità di ulteriore controllo.

Non parlo di una revisione del lavoro, parlo di un veloce ripasso di alcuni elementi fondamentali prima di dare il “visto si stampi”:

  • Titoli principali dei capitoli o degli articoli con refusi
  • Indice con numeri di pagina sbagliati
  • Codici, periodicità, informazioni di copyright sbagliate
  • Pagine prive del numero di pagina
  • Intestazioni che non corrispondono ai contenuti
  • Parti di testo e immagini mancanti

Mentre un errore nel testo principale o in una didascalia può essere perdonato, in un titolo potrebbero essere guai seri.

Le sviste più pericolose riguardano le parti più semplici perché nessuno le controlla. Quante ne ho trovate nella mia carriera! Sviste che avrebbero fatto buttare al vendo migliaia di euro alla volta.

Esistono mezzi automatici o semi-automatici per effettuare controlli in tal senso ed è possibile utilizzare variabili e indici che si aggiornano semi-automaticamente. Ma non ci si può affidare completamente ad essi.

Potremmo dire che l’impaginazione professionale sfrutta al massimo la tecnologia del software per questo tipo di controlli ad esempio attraverso l’uso di variabili per controllare, l’uniformità delle testate, i numeri di pagina e i rimandi.

Per finire, una raccomandazione un po’ strana, se vogliamo: non abbiate paura di trovare errori, non vergognatevi di farli e non abbiate sensi di colpa. E posso garantire che sono i più pronti a biasimare il prossimo a commetterne di più.

Conclusioni

Chiunque può impaginare un libro o una rivista, chiunque. Così come chiunque può tirare sù un muro di mattoni tutto storto. Cos’è invece un lavoro a regola d’arte? Questo è quello a cui ho cercato di rispondere in questo articolo.

È stata una bella corsa, quasi senza tirare il fiato. Volutamente non sono sceso nei dettagli perché ho scritto diversi altri articoli sui diversi punti qui sorvolati che approfondiscono il soggetto.

Il cliente è sempre più esigente, il software aiuta sempre di più. Ma il grafico, impaginatore o progettista che sia, è sempre più preparato?

Non sempre ma dovrebbe. Guadagnerebbe e si… divertirebbe di più! Mentre il cliente alla lunga sarebbe più soddisfatto e disporrebbe di un investimento migliore.

Buona impaginazione… professionale.

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